domenica 27 febbraio 2011

TETSUWAN ATOM


Astro Boy non nasce come protagonista di una propria serie, ma come comprimario in un manga fantascientifico. Nel 1951, infatti, su richiesta della rivista Shonen, l’artista Osamu Tezuka crea il manga a puntate Atom Taishi (“Ambasciatore Atomo”, noto anche come Captain Atom). Secondo quanto narrato dalla storia, nel futuro la Terra è destinata a esplodere e i suoi abitanti, per trovare scampo, intraprendono un lungo viaggio su gigantesche astronavi alla ricerca di un nuovo pianeta. Su quei vascelli spaziali, simili a stati viaggianti, vi è anche il protagonista Kenichi, ragazzetto vivace e pronto a cacciarsi nei guai. La serie non riscuote grandi consensi, ma dopo qualche puntata fa la sua apparizione un robot di nome Atom (Astro in Occidente), che attira immediatamente l’attenzione del pubblico e dei redattori della rivista. Questi ultimi spingono Tezuka a far diventare Astro protagonista di una propria serie, dando il via a una saga destinata a durare fino ai giorni nostri.
La serie Tetsuwan Atom (“Atom dal braccio d’acciaio”), internazionalmente nota come Astro Boy nasce quindi nel 1952 come un rimaneggiamento di Atom Taishi. Inizialmente scettico riguardo l’idea di trasformare Astro nel personaggio principale, dato che si tratta di un freddo robot, Tezuka ben presto comprende di poterlo rendere simpatico trasferendo il lui sentimenti ed emozioni umane. Difficile dire con esattezza a quali altri personaggi e storie si è ispirato l’autore nell’ideare quella destinata a diventare la sua creatura più famosa, certo è che in Astro c’è un po’ l’anima di Pinocchio (l’oggetto che prende vita), mentre per quel che riguarda le fattezze calzoncini corti e pettinatura ricordano molto il Mickey Mouse delle origini (con braghette rosse e orecchioni). Già il primo episodio rivela l’origine di Astro e il suo tormento esistenziale, che lo vede quale anello di congiunzione tra l’uomo e la macchina. Nell’anno 2003 (che nel 1951 appariva come un lontano futuro), il Dottor Tenma è il ministro della scienza e ha un figlio di nome Tobio. Il ragazzo muore tragicamente in un incidente d’auto e l’illustre padre, incapace di rassegnarsi, decide di costruire un robot che ne prenda il posto. Si tratta di Astro Boy, una formidabile creatura artificiale molto simile all’essere umano. Inizialmente entusiasta, Tenma ben presto comprende che la sua creatura ha un difetto: non può crescere come un comune bambino. Comincia quindi a odiarlo e lo vende a un circo. Fortunatamente, Astro viene trovato e accolto dal Professor Ochanomizu e, diventando sempre più umano, sfrutta i suoi formidabili poteri di robot per combattere il crimine in moltissime avventure.
Personaggio estremamente popolare, negli anni Sessanta Astro Boy diviene il candidato ideale per la prima serie televisiva animata prodotta in Giappone. L’anime Tetsuwan Atom fa il suo esordio il primo gennaio 1963 su Fuji Television, destinato a durare ben 193 episodi, a cadenza settimanale, in bianco e nero e della durata di trenta minuti ognuno. A produrla è la Mushi Production, casa fondata da Tezuka, pronta a fornire nuova linfa vitale al suo personaggio. Cresciuto guardando i cartoni animati di Walt Disney, Tezuka si è ispirato proprio al cinema d’animazione per sviluppare la propria tecnica narrativa, decisamente cinematografica. Il passaggio all'animazione è quindi ovvio.
Dopo la messa in onda della serie televisiva, la notorietà di Astro Boy continua a crescere. Il manga, che complessivamente conta ventitre volumi, viene più volte rimaneggiato dallo stesso Tezuka che, soprattutto nel capitolo iniziale, ne modernizza il disegno e ne spiega le origini ai lettori, raffigurando se stesso nelle tavole quale narratore. Con l’avvento del colore il personaggio viene nuovamente animato, grazie a una serie televisiva in 52 episodi del 1980 e a un’altra in 50 episodi del 2003. Il personaggio viene immortalato anche sui francobolli, e trova spazio in videogame per Game Boy e Playstation. Astro Boy è talmente amato dai giapponesi che il 7 aprile del 2003, data di nascita del personaggio nella finzione narrativa, per tutto l’arcipelago si è celebrato il suo compleanno. Frotte di fan vestiti come il loro beniamino, o altri personaggi del manga, sono scesi per le strade, mentre telegiornali e quotidiani ne hanno lodato le gesta, incoronandolo de facto re dei manga. Ciliegina sulla torta, nel 2009 arriva un film cinematografico in computer animation, diretto dall’americano David Bowers. Questo coproduzione nippoamericana presenta qualche dettaglio differente rispetto al manga. La storia, ambientata a Metro-city, mostra una terra talmente inquinata dagli esseri umani da costringere gli scienziati a rendere la città una metropoli volante. In quel luogo fantastico i robot del dottor Tenma consentono agli uomini di condurre una vita tranquilla. Ma qualcosa va storto e, ancora una volta, a risolvere il problema dovrà pensare Astro Boy.

Per le immagini © Tezuka Productions

mercoledì 23 febbraio 2011

ZAP! WHAM! L’ATTACCO DEGLI SPACE TOYS


Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta l’Italia ha subito parecchie invasioni aliene. Fortunatamente non vi sono state vittime, a parte i portafogli dei genitori.
“Tutta colpa della televisione!”, hanno tuonato molti adulti a partire dalla fine degli anni Settanta, quando grazie a popolari trasmissioni televisive, a una pubblicità martellante e al buon vecchio passaparola, i loro figlioletti hanno cominciato a richiedere insistentemente l’acquisto di giocattoli del tutto nuovi rispetto alla tradizione. I classici giochi in legno, i soldatini, i trenini cominciavano a cedere il passo a quelli che oggi vengono definiti space toys, ovvero una luccicante sarabanda di guerrieri spaziali, alieni minacciosi, astronavi a pile, robot lanciarazzi e via dicendo.
Certamente il piccolo schermo ebbe le sue colpe (o i suoi meriti), ma l’avvento dei giocattoli venuti dallo spazio era dovuto anche ad altri fattori, come l’evoluzione della tecnologia (che porterà anche i videogame), una maggiore facilità nell’importazione di giocattoli esteri, un più attento sfruttamento delle sinergie da parte di creatori e costruttori. Comunque sia, i ragazzini che hanno vissuto quel fortunato periodo si sono divertiti immergendosi in mondi fantastici, in compagnia di meravigliosi personaggi.
Tra i maggiori successi di fine anni Settanta vi furono i Micronauti, personaggi alieni alti una decina di centimetri che hanno avuto una genesi poco nota ai più, dato che arrivavano dagli Stati Uniti, dove erano noti come Micronauts, ma erano stati creati in Giappone come Microman. Nel 1976 l’azienda MEGO non solo comprò la licenza per distribuire in America i Microman, cambiandone il nome, ma ritoccò alcuni personaggi, ne creò di nuovi e inserì nella linea, rendendoli parte integrante, dei micronauti magnetici i cui arti e accessori erano intercambiabili. Ma cos'era un Microman? Una piccola action figure, con molti punti di snodo, fino a sedici. Alcune componenti del suo corpo antropomorfo erano trasparenti, altre colorate, la testa però era quasi sempre color metallo. Viaggiatori del tempo, guerrieri spaziali, mostri dai nomi impronunciabili
vennero affiancati da Oberon, un cavallo alato, Baron Karza, un temibile guerriero tutto nero, e altri Microman magnetici, ancora oggi tra i più ricercati dai collezionisti.
In Italia i Microman furono importati dalla Gig e l’incredibile successo riscosso spinse alcune aziende italiane a ideare delle linee spaziali che rispondessero ai medesimi criteri di giocabilità e collezionabilità. Tra le più riuscite vi fu la serie Galaxy della Atlantic, già famosissima per i suoi soldatini. Anche in questo caso si trattava di creature spaziali alte 10/12 centimetri, ma meno snodabili. I personaggi umani Sky-man e Sky-girl, dotai di armi laser e accessori vari, combattevano mostruosi alieni come Zephton e Hypnos. La linea mano mano si ampliò comprendendo anche mezzi spaziali e versioni più complesse degli stessi personaggi, dotate di lanciarazzi realmente sparanti, grazie a una molla e un bottoncino. Il design dei Galaxy, seppur segnato da qualche ingenuità, appare ancora oggi moderno.
La Edison Giocattoli puntò invece sulla linea TH3, che aveva la peculiarità di affiancare i soliti omini con una serie di pistole spaziali e accessori a dimensione umana, grazie ai quali il bambino poteva a sua volta divenire un eroe galattico. I personaggi principali erano Thur, Tharos (una donzella) e Thitan, anche loro fortemente accessoriati ma con un gusto molto anni Settanta, con sfolgorio un po’ da discomusic, e qualche rimando al fenomeno fantascientifico del periodo: il film Guerre Stellari.
Infine, parecchi anni dopo, siamo infatti nella seconda metà degli anni Ottanta, arrivarono gli Exogini, esperimento “multinazionale” come i Microman, dato che erano ispirati al cartone animato giapponese Kinnikuman, assolutamente sconosciuto nel nostro Paese e incentrato su dei lottatori di wrestling provenienti dallo spazio. I pupazzetti, venduti entro scatole cilindriche o piramidali, erano diverse decine (ma i Giappone centinaia), piccoli e coloratissimi. Decisamente più infantili e meno accattivanti della altre linee di giocattoli, erano comunque coloratissimi e riscossero un buon successo.
La Mattel, famosissima azienda americana di giocattoli, da cui tutti noi abbiamo comprato almeno un Big Jim o una Barbie, negli anni Ottanta si specializzò in linee di “pupazzi” legati a serial animati di genere fantasy e fantascientifico. Ecco quindi arrivare Masters of the Universe, Bravestar e Capitan Power.
La prima serie diede vita a un mondo che fondeva scienza e magia, Eternia, il cui eroe, He-Man, è un nerboruto e poco vestito combattente che si contrapponeva al cattivo Skeletor, dalla faccia di teschio, e alle sue orde.
Bravestar, invece, innestava elementi western in ambito fantascientifico. Il protagonista, Bravestar appunto, era una sorta di cowboy del futuro che agiva sul pianeta New Texas, popolato da decine di razze aliene che usavano apparecchi dalla avanzata tecnologia. Ovviamente il marshall Bravestar aveva un nemico: il perfido Tex Hex.
Infine il più fantascientifico di tutti, Capitan Power, che in un futuro dominato dalle macchine si opponeva al dominio dei Bio-dread comandati dallo scienziato pazzo Lord Dread.
Tutte le action figure tratte da queste tre serie si avvalevano del know-how accumulato da Mattel realizzando centinaia di Big Jim nel corso di vari decenni. Spesso i vari personaggi sembravano dei veri e propri Big Jim ma in abiti fantastici e super accessoriati. Il divertimento consisteva anche nel giocare utilizzando characters di serie differenti, che per filosofia e dimensioni erano in buona parte interscambiabili.
All’inizio degli anni Ottanta la nostra penisola fu invasa, sempre pacificamente s’intende, anche da orde di robot nipponici. Gli anime, i cartoni animati giapponesi, trasmessi da televisioni pubbliche e private aprirono la strada ai nuovi giocattoli. Non più i goffi robot di latta, a molla e dalle forma squadrate, ma veri e propri guerrieri antropomorfi guidati dal bicornuto Goldrake. Un florilegio di missili, pugni rotanti e alabarde spaziali, per decine di modelli differenti. I robot in questione rappresentavano una novità meravigliosa, per gli occhi affascinati dei pargoli del tempo. Dettagliatissimi, snodati, sparanti, dotati di armi di ogni tipo, a volte trasformabili, erano lontani anni luce da quanto visto in precedenta. Oltre a Goldrake come scordare Mazinga, Daitarn III, Gaiking, Gloizer X, Gundam. Maggiore produttore di tale meraviglia era il colosso Bandai, ma in quei tempi pionieristici nessuno badava ancora a tali dettagli. La nostrana Atlantic, ancora una volta attenta alle mode, si inserì nella scia producendo su licenza soldatini in scala 1/72 di Goldrake e, soprattutto, un modello gigante in plastica delo stesso, limitato nelle articolazioni ma dotato di un sacco di piccoli missili che poteva sparare. Insomma, il sogno di ogni ragazzino, ancora oggi invidiato da coloro, ormai adulti, che all’epoca non riuscirono a farselo regalare.



sabato 19 febbraio 2011

FANTAFUMETTI


Qualche anno fa la casa editrice Free Books ha stampato alcuni eleganti volumi contenenti la ristampa dei comicbook di Star Trek editi a fine anni Sessanta dalla Gold Key, all'epoca una della maggiori produttrici americane di fumetti.
Il disegno è datato, i colori sono kitsch, le trame infantili, eppure… questa raccolta è un piccolo gioiello. Vi si respira infatti tutto l'entusiamo ingenuo dell'epoca, il fascino per il fantastico e il mistero, la meraviglia di fronte ai mondi sconosciuti, l'eroismo improbabile dei protagonisti, l'amore per l'avventura e l'esplorazione. I comicbook della Gold Key sono il passaporto per un viaggio nel tempo, un salto in un passato in cui la fantascienza era ancora meraviglia e bastavano un pizzico di fantasia e una matita per portarla sulla carta. A questo si aggiunge la possibilità di riscoprire i lavori di alcuni autori italiani – Zaccaria, Giolitti e Ticci – che all'epoca lavoravano per il mercato statunitense, e la cui produzione a stelle e strisce è poco nota da noi. Forse non ci crederete, ma, sfogliando le pagine di questi volumi, mi è parso quasi di sentire l'odore dalla carta economica e giallognola dei vecchi comicbook, reperti archeologici che all'epoca costavano solo 12 centesimi, e che per essere acquistati oggi nel mercato del collezionismo richiederebbero invece lo stipendio di un calciatore.

PS
La prima immagine è una tavola di Nevio Zaccara, la seconda una splash page di Alberto Giolitti.

UNA RAY GUN ITALIANA



Chi pensa che i giocattoli spaziali siano esclusivamente, o quasi, di produzione statunitense e giapponese si sbaglia. Anche le aziende e i creativi italiani negli anni hanno avuto le loro botte d’ingnegno, come avremo modo di vedere col passare dei post. Si comincia con questa meravigliosa pistola spaziale automatica (o space automatic pistol, come riportato sulla scatola, che da un lato presenta scritte in italiano e dall’altro in inglese, probabilmente per poter esportare il giocattolo). Acquistata su ebay, non presenta informazioni sulla sua data di produzione. Presumo però sia stata realizzata nella prima metà degli anni Sessanta. Questo perché la Lima comincia a produrre giocattoli nel 1954, ma dato che l’oggetto è di plastica (guarda caso inventata sempre nel 1954, ma necessitò di qualche anno per imporsi) dovrebbe essere di qualche anno successiva. Inoltre, credo che nella metà degli anni Sessanta l’azienda fosse già completamente concentrata sui trenini, diventati suoi cavalli di battaglia. Infine, c’è la questione della pila, la pistola infatti funziona con una torcetta da tre volt che negli anni Sessanta era molto diffusa, ma nei Settanta stava già sparendo a vantaggio di quelle da 1,5 volt.
La pistola spaziale ha un po’ l’aspetto di una pistola “adattata”: alla classica pistola a tamburo a sei colpi vengono aggiunti dettagli fantascientifici, tipo i “circoli” sulla canna (tipici delle ray gun), l’immagine di Saturno sul calcio e, soprattutto, luce e suono. Schiacciando il grilletto, infatti, si illumina una lampadina posta all’interno della canna e visibile grazie a una finestrella in plastica rossa trasparente. Il suono, un po’ stridulo, ha il sapore degli effetti sonori dei B-movie anni Cinquanta. Per scoprirlo, ho dovuo far costruire una pila da tre volt da un tecnico che l’ha ottenuta assemblando due pile da 1,5 volt, così la ray gun è tornata al suo antico splendore.
Anche la scatola in cartone è un piccolo gioiello. Oltre a essere bilingue, come già sottolineato, ha una forma che segue la sagoma della pistola. Non si tratta di un semplice vezzo. Dato che da un lato presenta due tagli paralleli, presumo fosse stata studiata per inserivi la cintura dei pantaloni, rendendola così una fondina che qualsiasi bambino poteva portare al fianco. Altro tocco di genio, su un lato della scatola è riportato il codice morse, così la pistola più che un’arma diventa uno strumento di comunicazione. Schiacciando il grilletto più o meno a lungo si ottengono luce e suoni corti e lunghi, tipici del codice morse. Posso solo immaginare la gioia dei bambini che la ricevevano in regalo. Personalmente mi sono divertito moltissimo nel “riportarla in vita” e nel ricercare dettagli sulla sua storia. È uno degli aspetti piacevoli del collezionare giocattoli.


mercoledì 16 febbraio 2011

STAR TREK & DOCTOR WHO


Questa splendida illustrazione è stata realizzata da Mike Mayhew (artista americano che ha lavorato per le maggiori case editrici di fumetti) per la rivista Wizard, ove è stata pubblicata a colori. Ricchissima di dettagli propone un azzardato crossover tra Star Trek (serie classica) e Doctor Who (serie più recente). Oltre al florilegio di avversari (Klingon e Romulani, per Star Trek, e Cybermen e Dalek, per Doctor Who), notare la cura con cui sono disegnate ray gun e cacciavite sonico del dottore. Si consiglia di cliccare sull'immagine per vederla ingrandita.

lunedì 14 febbraio 2011

QUEL GRAN FETENTONE DI JOE GALAXY!


Gran figlio di puttana quel Joe Galaxy.
Ricordo come fosse ieri la prima volta che lo incontrai. Mi trovavo al Cosmic Bar, nella galassia di Andromeda, l'ultima bettola dello spazio conosciuto, ed ero intento ad attirare l'attenzione di una bella sventola venusiana con quattro poppe da far girare la testa, sicuramente gonfiate con betasilicone, ma pur sempre poppe. Tutto a un tratto ecco che fa il suo ingresso Joe e, notata la pupa, le si avvicina e la incanta raccontandogli non so quale storia di pirati spaziali: tutte palle, certo, ma sta di fatto che quella gnocca aliena ci casca e io resto a bocca asciutta. Joe è fatto così, uno sparapalle cosmico, ma chissà perché in grado di incantare qualsiasi femmina, incluse le cardassiane che, come tutti voi sapete, aborrono qualsiasi contatto fisico con l'altro sesso. Non credo che sia il suo aspetto fisico ad attirarle, dopotutto un umanoide col becco d'aquila e quattro dita per mano non è il massimo dell'estetica (anche se in questo cesso di universo ho visto di molto peggio), ma piuttosto i suoi modi da macho, la sua capacità di cacciarsi in guai di ogni tipo e di uscirne sempre illeso.
Non è facile andare d'accordo con Joe, vuole sempre fare di testa sua e ha il laser facile, tuttavia qualche lavoretto insieme siamo riusciti a combinarlo, anche un po' al di là della legge (in questo caso meglio sorvolare sui particolari), ma dopo un po' lui ti molla, sparisce all'improvviso senza lasciare traccia. Lo capisco è un'aquila solitaria, abituata ad afferrare il cosmo per le palle e a strizzargliele ben bene.
Ora è da qualche ciclo astrale che non lo vedo più, ma proprio qualche parsek fa ho scoperto una cosa che mi ha fatto scompisciare dalle risate: in una galassia molto lontana dalla nostra, in un pianeta che si chiama Terra hanno realizzato dei fumetti con lui protagonista. Proprio così, un tizio chiamato Massimo Mattioli nel 1978 (data del luogo) ha cominciato a scrivere e disegnare storie così pazzesche che solo quel gran paraculo di Joe può avergliele raccontate. E quelle storie sono apparse su parecchie riviste: Il Male, Cannibale, Frigidaire, Comic Art, per poi essere raccolte in volume (sempre da Frigidaire e Comic Art).
A vederle non ci credereste, una esplosione di colori che mi dicono rifarsi a uno stile artistico aborigeno chiamato pop art, col vecchio Joe che spara, ammazza, scopa e impreca come ai bei vecchi tempi. Leggendole mi sono sentito ringiovanire di vent'anni e sono arrivato a una conclusione: è proprio un gran figlio di puttana quel Joe Galaxy!

QUESTA RAY GUN NON ESISTE!



Il titolo del post è un po' esagerato, ma non troppo, dato che la pistola spaziale in questione ha una storia particolare. Inannzitutto si tratta di una pistola della serie Robotech, serie che in realtà non esiste. Robotech, infatti, è una serie "costruita" negli Stati Uniti utilizzando tre serie animate giapponesi. Nel 1985 l'americana Harmony Gold – una casa distributrice che faceva da tramite tra Giappone e Stati Uniti – si ritrovò tra le mani l'ottima serie televisiva Macross, ma essendo quest'ultima troppo breve decise di "assemblarla" con altri due anime: Cho Jiku Kidan Southern Cross ("Truppe Corazzate Superdimensionali Southern Cross") e Kiko Soseiki Mospeada ("Mospeada, gli arrampicatori della genesi"), composte rispettivamente da 23 e da 25 episodi. Il risultato finale fu proprio Robotech, una nuova serie composta da 85 episodi, ottenuti mettendo in sequenza quelli delle tre serie originali e creandone uno ex novo rimontando vari spezzoni.
Quando mi sono imbattuto nella pistola spaziale che potete vedere nelle prime due immagini, pur apprezzandone moltissimo il design, non mi sembrava appartenesse a Robotech. Dato, però, che conoscevo bene Macross, ma non gli altri due anime che fanno parte di Robotech, ho pensato che mi fosse sfuggita. Così, dopo averla acquistata, sono andato a rivedermi immagini di Robotech per trovarla, ma senza risultato. Poco male, a volte le ditte di giocattoli creano gadget ex novo sfruttando titoli famosi. Eppure quella pistola mi sembrava familiare, dovevo averla già vista da qualche parte. Ho quindi effettuato una ricerca su internet e… bingo! Trovata, è un una pistola tratta da una serie televisiva fantascientifica live action: Visitors (per chi non la ricordasse è del 1984 e ultimamente ha beneficiato di un remake). Praticamente la Arco, casa produttrice di giocattoli, aveva realizzato questa bellissima ray gun in occasione di Visitors e, quando ha dovuto produrne una per Robotech (l'anno dopo, nel 1985) ha pensato bene di "riciclare" la vecchia, cambiandole colore e "appiccicandole" il logo di Robotech. La ray gun è molto ben fatta, funziona col meccanismo sparkling (in altre parole fa le scintille premendo il grilletto) e una volta assemblata per formare un ray rifle, spara diversi tipi di dardi (a ventosa e non). Insomma, un bel giocattolone entrato a pieno titolo nella mia collezione.

PS
L'ultima immagine è di Visitors e si intravede il fucile completo.


3… 2… 1… DECOLLO!!!


Dopo un anno di cincischiamenti, in attesa di trovare il tempo, mi sono deciso a far decollare questo blog. Sarà interamente dedicato alla fantascienza e in particolare alle ray gun (per motivi che saranno chiari col passare dei post), nella speranza che risulti divertente da leggere tanto quanto lo è da realizzare. Buona lettura.