mercoledì 23 febbraio 2011

ZAP! WHAM! L’ATTACCO DEGLI SPACE TOYS


Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta l’Italia ha subito parecchie invasioni aliene. Fortunatamente non vi sono state vittime, a parte i portafogli dei genitori.
“Tutta colpa della televisione!”, hanno tuonato molti adulti a partire dalla fine degli anni Settanta, quando grazie a popolari trasmissioni televisive, a una pubblicità martellante e al buon vecchio passaparola, i loro figlioletti hanno cominciato a richiedere insistentemente l’acquisto di giocattoli del tutto nuovi rispetto alla tradizione. I classici giochi in legno, i soldatini, i trenini cominciavano a cedere il passo a quelli che oggi vengono definiti space toys, ovvero una luccicante sarabanda di guerrieri spaziali, alieni minacciosi, astronavi a pile, robot lanciarazzi e via dicendo.
Certamente il piccolo schermo ebbe le sue colpe (o i suoi meriti), ma l’avvento dei giocattoli venuti dallo spazio era dovuto anche ad altri fattori, come l’evoluzione della tecnologia (che porterà anche i videogame), una maggiore facilità nell’importazione di giocattoli esteri, un più attento sfruttamento delle sinergie da parte di creatori e costruttori. Comunque sia, i ragazzini che hanno vissuto quel fortunato periodo si sono divertiti immergendosi in mondi fantastici, in compagnia di meravigliosi personaggi.
Tra i maggiori successi di fine anni Settanta vi furono i Micronauti, personaggi alieni alti una decina di centimetri che hanno avuto una genesi poco nota ai più, dato che arrivavano dagli Stati Uniti, dove erano noti come Micronauts, ma erano stati creati in Giappone come Microman. Nel 1976 l’azienda MEGO non solo comprò la licenza per distribuire in America i Microman, cambiandone il nome, ma ritoccò alcuni personaggi, ne creò di nuovi e inserì nella linea, rendendoli parte integrante, dei micronauti magnetici i cui arti e accessori erano intercambiabili. Ma cos'era un Microman? Una piccola action figure, con molti punti di snodo, fino a sedici. Alcune componenti del suo corpo antropomorfo erano trasparenti, altre colorate, la testa però era quasi sempre color metallo. Viaggiatori del tempo, guerrieri spaziali, mostri dai nomi impronunciabili
vennero affiancati da Oberon, un cavallo alato, Baron Karza, un temibile guerriero tutto nero, e altri Microman magnetici, ancora oggi tra i più ricercati dai collezionisti.
In Italia i Microman furono importati dalla Gig e l’incredibile successo riscosso spinse alcune aziende italiane a ideare delle linee spaziali che rispondessero ai medesimi criteri di giocabilità e collezionabilità. Tra le più riuscite vi fu la serie Galaxy della Atlantic, già famosissima per i suoi soldatini. Anche in questo caso si trattava di creature spaziali alte 10/12 centimetri, ma meno snodabili. I personaggi umani Sky-man e Sky-girl, dotai di armi laser e accessori vari, combattevano mostruosi alieni come Zephton e Hypnos. La linea mano mano si ampliò comprendendo anche mezzi spaziali e versioni più complesse degli stessi personaggi, dotate di lanciarazzi realmente sparanti, grazie a una molla e un bottoncino. Il design dei Galaxy, seppur segnato da qualche ingenuità, appare ancora oggi moderno.
La Edison Giocattoli puntò invece sulla linea TH3, che aveva la peculiarità di affiancare i soliti omini con una serie di pistole spaziali e accessori a dimensione umana, grazie ai quali il bambino poteva a sua volta divenire un eroe galattico. I personaggi principali erano Thur, Tharos (una donzella) e Thitan, anche loro fortemente accessoriati ma con un gusto molto anni Settanta, con sfolgorio un po’ da discomusic, e qualche rimando al fenomeno fantascientifico del periodo: il film Guerre Stellari.
Infine, parecchi anni dopo, siamo infatti nella seconda metà degli anni Ottanta, arrivarono gli Exogini, esperimento “multinazionale” come i Microman, dato che erano ispirati al cartone animato giapponese Kinnikuman, assolutamente sconosciuto nel nostro Paese e incentrato su dei lottatori di wrestling provenienti dallo spazio. I pupazzetti, venduti entro scatole cilindriche o piramidali, erano diverse decine (ma i Giappone centinaia), piccoli e coloratissimi. Decisamente più infantili e meno accattivanti della altre linee di giocattoli, erano comunque coloratissimi e riscossero un buon successo.
La Mattel, famosissima azienda americana di giocattoli, da cui tutti noi abbiamo comprato almeno un Big Jim o una Barbie, negli anni Ottanta si specializzò in linee di “pupazzi” legati a serial animati di genere fantasy e fantascientifico. Ecco quindi arrivare Masters of the Universe, Bravestar e Capitan Power.
La prima serie diede vita a un mondo che fondeva scienza e magia, Eternia, il cui eroe, He-Man, è un nerboruto e poco vestito combattente che si contrapponeva al cattivo Skeletor, dalla faccia di teschio, e alle sue orde.
Bravestar, invece, innestava elementi western in ambito fantascientifico. Il protagonista, Bravestar appunto, era una sorta di cowboy del futuro che agiva sul pianeta New Texas, popolato da decine di razze aliene che usavano apparecchi dalla avanzata tecnologia. Ovviamente il marshall Bravestar aveva un nemico: il perfido Tex Hex.
Infine il più fantascientifico di tutti, Capitan Power, che in un futuro dominato dalle macchine si opponeva al dominio dei Bio-dread comandati dallo scienziato pazzo Lord Dread.
Tutte le action figure tratte da queste tre serie si avvalevano del know-how accumulato da Mattel realizzando centinaia di Big Jim nel corso di vari decenni. Spesso i vari personaggi sembravano dei veri e propri Big Jim ma in abiti fantastici e super accessoriati. Il divertimento consisteva anche nel giocare utilizzando characters di serie differenti, che per filosofia e dimensioni erano in buona parte interscambiabili.
All’inizio degli anni Ottanta la nostra penisola fu invasa, sempre pacificamente s’intende, anche da orde di robot nipponici. Gli anime, i cartoni animati giapponesi, trasmessi da televisioni pubbliche e private aprirono la strada ai nuovi giocattoli. Non più i goffi robot di latta, a molla e dalle forma squadrate, ma veri e propri guerrieri antropomorfi guidati dal bicornuto Goldrake. Un florilegio di missili, pugni rotanti e alabarde spaziali, per decine di modelli differenti. I robot in questione rappresentavano una novità meravigliosa, per gli occhi affascinati dei pargoli del tempo. Dettagliatissimi, snodati, sparanti, dotati di armi di ogni tipo, a volte trasformabili, erano lontani anni luce da quanto visto in precedenta. Oltre a Goldrake come scordare Mazinga, Daitarn III, Gaiking, Gloizer X, Gundam. Maggiore produttore di tale meraviglia era il colosso Bandai, ma in quei tempi pionieristici nessuno badava ancora a tali dettagli. La nostrana Atlantic, ancora una volta attenta alle mode, si inserì nella scia producendo su licenza soldatini in scala 1/72 di Goldrake e, soprattutto, un modello gigante in plastica delo stesso, limitato nelle articolazioni ma dotato di un sacco di piccoli missili che poteva sparare. Insomma, il sogno di ogni ragazzino, ancora oggi invidiato da coloro, ormai adulti, che all’epoca non riuscirono a farselo regalare.



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